Le mie 25 candeline a pois
14 Gennaio, è tempo di mettere fine ai
buoni propositi.
Questo compleanno sa di
ultima chiamata, è una sveglia molesta che ho rimandato troppe volte
ma che non posso più ignorare. E' l'eterno ritorno di vecchi sogni
di gloria, sbandierati ogni anno sotto l'ingenua promessa di
improbabili “salti di qualità” mai realizzati.
Ogni fine dicembre Strava
mi ripropone gentilmente un bel video con le mie statistiche annuali,
ed è una tale Caporetto che inizio a sospettare che abbia un accordo
con a) il signor Moleskine, sui cui diari rilascio fiumi di buoni
propositi, obiettivi e frustrazione ogni anno; b) Jalapeño,
il bar in cui vado ad affogare le delusioni nella birra.
Così
capodanno è tutto un fiorire di “quest'anno sarà diverso”, la
cronologia del telefono mi si riempie di calendari gare e Facebook di poco caute
partecipazioni ad eventi sportivi lontani mesi. Intorno all'Epifania i buoni propositi iniziano ad
incrinarsi, la prova costume torna a sembrar lontana e sicuramente
meno invitante di quell'ultimo pandoro in offerta, così bastano un
paio di giorni di pioggia a mandare a monte buoni propositi e buona
volontà.
Così mi ritrovo sabato 13 con le cartine sul tavolo, a ripetere l'antico
rituale del non riuscire a decidere dove andare in gita, ma questa
volta determinato a non sprecare questa occasione.
Voglio
qualcosa di significativo, una vetta importante. Voglio mettere alla
prova il ginocchio dopo due mesi che non tocco un sentiero, al
massimo me la prendo comoda, nessuna fretta per una volta. Voglio
commuovermi un po', senza che nessuno mi veda ma senza sentirmi
lontano dal mondo. E soprattutto voglio una fetta di crostata.
Così
scandaglio le cartine in cerca di un'ispirazione finché non lo
trovo: uno dei monti più importanti della Liguria, con tanto di
omonimo parco; una vetta relativamente alta, ma a due passi dal mare
quindi non innevata; una tappa importante dell'AltaVia dei Monti
Liguri; il confine estremo della provincia di Genova e dei miei
territori di allenamento e soprattutto un monte con ben due rifugi vicini
alla cima. Crostata garantita.
In
un attimo quindi è deciso: si va sul Beigua.
Il
fascino delle antenne
Non
so perché, ma ho una strana passione per i monti con le antenne. La
mia salita preferita, ciclisticamente parlando, è il Monte Fasce. Un
panettone spazzato dal vento e deturpato dai ripetitori, ma che è
stato e rimane il mio miglior nemico. Una stradina
che sale a due passi dal mare ma che non concede nemmeno uno sguardo
al panorama, il Fasce è stata la mia prima vera salita con la bici
da corsa, nel settembre 2009, pochi giorni dopo che un incendio ne
aveva aggredito le pendici. Salire tra gli alberi bruciati e con
l'odore acre della cenere su quel monte che mi aveva sempre guardato
dall'alto era stato un atto a metà tra il sacro e l'infernale, e da
allora è sempre stato il mio Orodruin, la mia Montagna di Fuoco, il
mio Monte Fato. Il Fasce è vento e nebbia (quella che puoi trovare
in cima, quasi paradossalmente, nei pomeriggi d'estate), è sudore,
cenere (da quel 2009) e sangue, da quando mi spaccai un labbro
tamponando una macchina poco prima di affrontare questo che è tanto
un vecchio amico quanto un giudice severo, un professore un po'
stronzo. Eppure ci torno ogni anno, quando cerco redenzione o
solo sofferenza, quando voglio testarmi e quando voglio ritrovare un
po' di quel passato pieno di speranze. Ci torno a inizio gennaio, per
espiare i miei peccati e rinnovare i buoni propositi, e ci torno
verso l'estate, in cerca della forma e quel cronometro fermo al 2013.
E'
con spirito simile, ma passo più tranquillo, che ho affrontato il
Beigua, trasformandone le antenne nelle mie 25 candeline da andare a
spegnere. Mi piace pensare che questo monte sia il fratello maggiore
del mio Fasce: più alto e “grosso”, più lontano, più
importante e soprattutto più duro. Una salita vera, forse la più
dura della Liguria da fare in bici, sicuramente una delle più belle.
Non
è cenere e sangue, magari, ma ha l'Alta Via dei Monti liguri, e vi
assicuro che, nell'autunno 2015, scollinare il Beigua e vedere Genova è stato un momento più intenso di qualsiasi
pedalata.
Cicatrici
A settembre mi ero promesso di non levare mai il braccialetto del Tor
des Geants, per
ricordare a me stesso e a chi mi sta intorno da dove vengo e dove
voglio andare, per ricordare che in qualsiasi contesto mi trovi in
fondo al mio pensiero ci sono sempre queste montagne. Lo terrò per
ricordarmi che, nonostante abbia ricevuto tantissimi messaggi e
congratulazioni per quanto fatto, questa deve rimanere una sconfitta (dai miei Appunti di Tor).
Beh, questa promessa è durata
solo fino a capodanno, quando il braccialetto è andato perduto. Una mezza tragedia.
Così domenica ho preso
la maglietta del Tor e l'ho usata per la prima e forse unica volta. Perché non ho mai sopportato l'idea di portare un simbolo di
qualcosa che non ho portato a termine, che mi ha inequivocabilmente
sconfitto. Ma il Tor è qualcosa che mi porto sempre dietro
e che non posso certo rinnegare. E' una relazione finita male con una
persona che continuo ad amare e che prima o poi proverò a
riconquistare. E' una cicatrice,
a volte fa ancora male (il ginocchio, dico, non sono Harry Potter...)
ma è il segno di un'avventura di cui la sconfitta è solo l'atto
finale. Ed il primo atto per andare avanti, per cercare la prossima
avventura, è indossare la propria cicatrice ed esserne fiero, almeno
per un giorno.
“Climber” is a state
of mind
Continuavo a salire, e la montagna si faceva sempre più erta. La scalata ha fatto scattare qualcosa in me. Mentre mi davo da fare per salire, riflettevo sulla mia vita, ripercorrevo tutti i momenti importanti, l'infanzia, le prime gare, la malattia, e come mi ha cambiato. Forse è stato l'atto primitivo di salire a farmi affrontare le questioni che avevo evitato per settimane. Ho capito che era arrivato il momento di smettere di temporeggiare. Muoviti, mi sono detto. Mentre continuavo a salire, ho visto tutta la mia vita. Ne ho visto i contorni e le prerogative, ed anche lo scopo. Era semplicemente questo: ero nato per una lunga, faticosa scalata.
Lo so, ormai citare
Armstrong è tabù, ma ciò che cercavo nel Fasce, ciò che inseguivo
salendo sul Beigua domenica è proprio questo: una sveglia, un reset,
un passare all'azione. Salendo ho ripercorso mentalmente gli ultimi mesi di luci ed ombre, e mi son reso conto che era la prima
giornata solitaria da parecchi mesi ma che, a parte un po' di
frustrazione per un infortunio ancora misterioso, questi mesi di
stallo mi avevano tutto sommato fatto bene. Avevo mantenuto quel
minimo di allenamenti per non impazzire ed ero tornato ad essere almeno vagamente più sociale. Così, trasportato dal tic tic dei bastoncini,
pensavo che aveva ragione quell'articolo di Internazionale di qualche
mese fa, che diceva che solo chi sta bene con se stesso, che sta bene
da solo, è in grado davvero di star bene con gli altri (beh, a dire
il vero parlava di single felici e di relazioni, ma penso che
il concetto sia lo stesso!).
Questo non vuole essere
certo un manifesto di qualche medicina alternativa hippie, ma
camminare nella natura, in montagna, è la forma di riflessione ed
introspezione migliore che conosca. Ci sono problemi ai quali, se non
ne vieni a capo in una giornata per i monti, non ha nemmeno senso
pensar troppo perché evidentemente al di là delle tue possibilità.
E la salita al Beigua, il
mare di foglie sul sentiero, gli alberi ghiacciati sulla vetta, i paletti dell'Alta Via, il vento e la crostata al
rifugio mi hanno ricordato quanto sia fatto per questa "lunga, faticosa scalata", quanto significhino per me queste salite. Non sto dicendo che lo sport è la mia ragione
di vita, che l'allenamento vien prima di tutto (probabilmente il
livello di “fissazione” pre-Tor non lo raggiungerò più). Voglio solo dire che, a prescindere da quanto e come mi allenerò in futuro,
restare sul divano non fa per me. La salita, la maglia a pois, saper
faticare, sono una condizione mentale. E solo aver speso metà del
mio compleanno camminando su un monte mi ha fatto apprezzare davvero
cosa, e chi, mi aspettava a casa. Perché sport e montagne non sono
la base della mia vita, forse non ne sono neanche un ambito (come
avevo ipotizzato qui), ma ne sono il lievito: fondamentale, la fa
crescere, le dà una forma e la completa. Ed anche se il gusto finale spetterà ad altri
ingredienti, ad altre persone, ciò che cerco ogni volta che mi allaccio le scarpe e riempio la borraccia, ciò che provo quando affronto una salita sta tutto in questa frase di Salinger:
Mi sentivo così maledettamente felice, tutt'a un tratto, per come la vecchia Phoebe continuava a girare intorno intorno. Mi sentivo così maledettamente felice che per poco non mi misi a urlare, se proprio volete saperlo. Non so perché. Era solo che aveva un'aria così maledettamente carina, lei, là che girava intorno intorno, col suo soprabito blu eccetera eccetera. Dio, peccato che non c'eravate anche voi (Il Giovane Holden)
Se volete saperlo, la crostata era un po' tirata, ma la vera torta di compleanno mi aspettava per merenda.
E' stata una bella giornata.
Dio, peccato che non c'eravate anche voi.
E' stata una bella giornata.
Dio, peccato che non c'eravate anche voi.
Bravo, molto bravo! Ma a 25 anni sei solo all' inizio. Guai a mollare. MAI mollare. O sognare. Cosa ci rimane altrimenti?
RispondiEliminaGrazie! Non preoccuparti che sto già pensando alla prossima follia!
EliminaAlbi sei vecchio (e ormai saggio), hai scritto delle belle parole! Non mi sarebbe mai venuto in mente di fare una gita il giorno del mio compleanno(solo a te può venire in mente) io come ben sai avrei preferito starmene sul divano a mangiare dolci, detto questo non mollare mai!! (Un pezzo di torta me lo potevi anche portare eh)
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